“L’ANIMA FOTOGRAFATA” TRA LE PAGINE DE “LA DOMENICA DI VICENZA”, A CURA DI ALESSANDRO SCANDALE
All’inizio degli anni ’80 – al termine di un decennio di straordinaria creatività e qualità della musica, italiana e non solo – Ron uscì con una splendida canzone intitolata Anima, accompagnata da un testo scritto dall’indimenticabile Lucio Dalla. Una canzone che vinse il Festivalbar del 1982 e che era inclusa nell’album Guarda chi si vede. “L’anima è una parola, è un concetto, non è normale vederla sul letto, vederla e fare finta di niente”, scriveva Lucio per l’amico Rosalino Cellamare. Riascoltando quelle note e quelle parole così ispirate, ci chiediamo se la musica sia l’unico strumento per parlare di anima al cuore della gente. E la risposta è che lo è senz’altro, ma non è l’unica. Anche le altre arti lo sono, come ad esempio la scrittura e la fotografia.
È questa considerazione che ci dà lo spunto per descrivere L’Anima fotografata (Edizioni DivinaFollia), il nuovo libro di due vicentini, la scrittrice Tania Piazza e il fotografo Ivano Mercanzin, composto da ventotto racconti legati ad altrettante immagini inedite scattate in parte a Vicenza e in parte in altri luoghi. Già presentato a Verona, Milano e Montecchio Maggiore, città di origine di entrambi, il libro è una sorta di “evento annunciato”, visto che i due già si conoscevano da tempo e avevano realizzato insieme alcuni progetti culturali. La casa editrice bergamasca, che ha pubblicato anche un altro libro di un’autrice vicentina – l’esordio letterario di quella Monica Vaccaretti della quale abbiamo scritto qualche settimana fa, e che proprio in questi giorni pubblicherà anche il suo secondo – ha colto al volo l’occasione di proporre i due autori vicentini, come sottolinea la stessa editrice Silvia Denti nella prefazione, quando scrive che si tratta di due autori singolari, due artisti veri: Tania Piazza e Ivano Mercanzin, la prima d’una densità umana tanto spessa da poterla sentire addosso; il secondo, in questa raccolta di brevi narrazioni, come fotografo dei dettagli e animatore delle storie con tali meraviglie scattate rubandole ai momenti salienti, sono l’uno il braccio destro dell’altra. Questo libro è stato concepito proprio così, come si procrea un figlio e occorrono due Dna, la parola e l’immagine. Trovo, nella sequenza dei racconti, una nuova oggettività in un mondo mistico e reale insieme, forse la poesia della scrittura legata al materico rovescio della medaglia, un connubio ben riuscito. I testi variano nella semantica e nell’esposizione, si passa dai protagonisti fragili, disadattati per certi versi, i disperati esseri umani che vivono le loro debolezze e le loro miserie; oppure gli introspettivi, i ricercatori della verità esistenziale, tutto condito e compreso dalla e nella memoria individuale e collettiva, l’archetipo della sofferenza degli esseri che abitano la terra e non trovano pace mai, poiché senza risposte il dubbio divora. Ma Tania Piazza è abile, riesce a tirar fuori dalle immagini narrate anche situazioni grottesche e ironiche, mescolate a riflessioni profonde, che ci fanno sentire tutti in un solo dolore, nella stessa bolla, laddove, allora, è possibile incontrare l’abbraccio dei sorrisi, per andare incontro al destino che ci aspetta, calzante alla perfezione il mal comune mezzo gaudio. Di questa penna io adoro le mistificazioni, ad esempio, che si scovano dietro le apparenze, le ipocrisie; la capacità dell’Autrice di dominare, con l’analisi soggettiva, ogni storia che ci racconta. Poi ci sono l’intrigo, la forza, il linguaggio che scivola e conquista, ogni storia è una persona, ogni persona uno di noi. Noi lettori, che in questa raccolta, siamo liberi di entrare dalla porticina retrostante e accedere all’immedesimazione, oppure restare seduti come spettatori, ma in entrambi i casi molto coinvolti. Così fantasie, ricordi, spezzoni d’esistenza scaraventati negli occhi, bastano a farci emozionare, con un moto di spirito preciso: lo stupore che ci meraviglia il dentro, ci affascina, anche quando accusiamo il dolore, sfuggiamo alla paura, tremiamo nel perderci tra le parabole delle parole che l’autrice conosce magistralmente e sa come dosare.
Prima di addentrarci nella lettura – aggiunge Denti – soddisfiamo lo sguardo, che diventa acuto osservatore degli scatti fotografici di Ivano Mercanzin, e anche qui non riusciamo, per lunghissimi secondi, a passare oltre. Le immagini ci catturano, letteralmente, danno la percezione normale della normalità, appunto, trasmigrano dalla semplice prospettiva al nodo dell’anima, laddove esistono movimento, energia, scalpore, inquietudine. Segnali di vita, dunque. Io stessa sono un’appassionata di fotografia, e devo dire che quella di Mercanzin mi coinvolge per la sua semplicità, perché mi fa pensare, da inesperta quale sono, che anch’io, in quel momento, in quell’istante, avrei impresso la stessa posa, la stessa luce; o, per spiegarmi meglio: l’artista ci somiglia, è uno di noi, è colui che guarda quel mare, è quel casale in quel prato, quel cielo sopra quelle nuvole. Ogni scatto ha un’identità e forse più d’una, guarda in basso, in alto, a sinistra, a destra, con una piena e assoluta libertà intellettuale, stoicamente, analizzando e raggiungendo le traiettorie degli anfratti d’ogni angolo. Questi spazi infiniti che debordano dai fogli, indicano la grandezza, la capienza di quest’occhio attento nell’assorbire, a pupille piene, ogni meraviglia. D’un tramonto l’attimo più significativo, d’un sole il passo dorato della luce, delle persone non certo il corpo, ma l’anima, sicuro. Ecco perché questo matrimonio artistico fra Tania e Ivano è riuscito perfettamente, incastonandosi tra le parole e le fotografie, come quando si accorda uno strumento, ogni nota al suo posto, ogni suono sulla sillaba adatta.
Come nel breve racconto Luce, che Tania Piazza scrive e associa ad una foto scattata nella fornace Venini a Murano: Quando cade, la luce non fa rumore. Si stende lieve, e ti chiedi incuriosito da che parte sia giunta. La mia idea è che si riposi, perché la sua strada è lunga e senza fine. Il più delle volte, la vedi passare in volo, veloce e silenziosa, come se la fretta le ingiungesse di correre. Sono innumerevoli, gli anfratti che chiedono di lei, e ogni giorno non sa come fare a coprirli tutti; immagino il suo fiatone, da cui probabilmente nasce il luccicore magico che capita di cogliere, a tratti. È proprio dal suo affanno quotidiano che succede, raramente, di osservarla cadere, come ora. Senza suoni, con voce leggera, a rifiatare quel tanto che basta per poi ricominciare. Ecco, allora, il miracolo che mi sta davanti: come un telo di prezioso tessuto adagiato sulle cose, ne muta i contorni, ridisegnando i volti e gli spigoli, curando e colmando da dentro le crepe dei mattoni. Una nuova energia, un nuovo spazio comunicativo, una nuova pagina. Fino a quando, carica, riparte. È bello non sentire il suo rumore. La luce arriva all’improvviso, e riempie il cuore. Dopo questi incontri con lei mi ritrovo sempre un po’ più ubriaco di vita, e rimango inebetito, in attesa della nuova sbornia. So che ci sarà, mi basterà porre attenzione ai segnali: il mondo si fermerà per un attimo, e subito dopo lei, nuovamente, cadrà.
O come in La luce più bella, che nel libro è associata ad una foto realizzata nel bar Borsa in centro storico a Vicenza: Sistema sbadatamente l’orlo della gonna a pieghe, si accorge che è salita troppo solo perchè non sente più caldo, su quella zona della pelle. Abbassa lo sguardo ad averne conferma, e allora apre le ginocchia che si toccano e con la mano sinistra abbassa un pezzo di stoffa nera per sembrare un po’ più a posto. Le calze scure e spesse non lasciano intravvedere nulla, le usa proprio per sentirsi sempre libera di muoversi come le pare, anche quando indossa quella gonna corta. Ai piedi, un paio di anfibi consunti, la pelle scura che il tempo ha ingrigito in alcuni punti, proprio come fa con i capelli degli anziani, lasciandoli smarriti. Le piace usare quelle scarpe, le permettono di non fare rumore, di camminare come se non passasse davvero. L’accompagnano da tempo, la fanno sentire quasi invisibile, tra gli altri. Soprattutto quando entra lì.?Ha aspettato con impazienza che si liberasse il suo tavolino – come le capita di dover fare ogni giorno – fuori dalla porta, quando arriva sempre con un certo anticipo, e se ne sta vicino alla vetrina dove sono esposte le torte giganti, intere con una fetta che sbuca fuori per far vedere cosa c’è dentro. Ormai le ha assaggiate tutte, ma non prende mai la stessa, anche se la sua preferita è la meringata con i pezzi di fragole grossi grossi messi all’interno, come fosse una stoffa candida con dei disegni irregolari di quel bel rosso forte e vivo che se ne viene fuori…
“Sono partita dai miei racconti. Li tenevo nel cassetto ma era da tempo che osservavo le foto di Ivano, gli scorci, i personaggi, i panorami, il bianco e nero. Mi colpiva l’intensità e la poesia dei suoi lavori e in modo naturale è nata l’idea del libro”, racconta Tania Piazza. “É stato un viaggio nelle mie fotografie – dice Ivano Mercanzin – è come se i miei personaggi avessero trovato una seconda vita, è stato davvero emozionante”
Tania Piazza è nata e cresciuta nella provincia vicentina, è da sempre una grande appassionata di letteratura classica, moderna e contemporanea. La scrittura nasce presto, come naturale evoluzione alla lettura, e diventa lo strumento per dare voce alle emozioni e narrare della Vita, perché scrivere è un altro modo per parlare, solo più silenzioso. Nella fotografia coglie la stessa attitudine: ecco perché ama osservarla e mettersi all’ascolto dei vari suoni che produce, per trasformarli in racconti. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo “La cura delle parole”; nel 2015 il secondo, “Com’è bella la nebbia quando cade”.
Ivano Mercanzin, inizia il suo percorso artistico nel 2012 quando la passione per la fotografia arriva d’improvviso. Osservando paesaggi e metropoli, strade e persone, raccoglie ricordi e narra storie con le sue immagini. Venezia, Terra Madre, Coney Island, The Face (s) of NYC, 21 grammi sono alcuni dei suoi progetti. Numerose le mostre: a Vicenza, Verona, Roma, Bologna, Taranto, Malta, New York, Bangkok, Marsiglia.